Da diversi anni è in corso un acceso dibattito sul diritto all'oblio e la tutela della privacy e delle informazioni personali sul web. Un'analisi della situazione attuale e delle iniziative intraprese dalla Commissione Europea.

Stando a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ormai più di un anno fa, ogni cittadino europeo avrebbe la prerogativa di ricorrere al diritto all'oblio, ovvero di richiedere ai motori di ricerca l'eliminazione, detta anche de-indicizzazione, dei link ritenuti ormai obsoleti e non più di interesse pubblico diretti a pagine web contenenti informazioni personali.

Il diritto all'oblio, cioè il privilegio di essere dimenticati, con la possibilità di cancellare le proprie tracce dal web in via definitiva, è una particolare forma di garanzia presente in diritto, che prevede la non divulgabilità di atti e contenuti pregiudizievoli della reputazione di una persona. Legalmente, in base al principio sul quale si basa tale diritto, non sarebbe legittimo diffondere informazioni circa condanne o altre situazioni di natura giudiziaria, salvo che non si tratti di fatti di interesse pubblico che, anche in data attuale, costituiscano, ad esempio, un'informazione di carattere storico o politico. 

La riforma proposta da Viviane Reding, Commissaria UE per la Giustizia e i Diritti fondamentali, riguardante la tutela della privacy degli utenti del web sarà trasformata in legge entro il 2015. I contenuti della riforma sono sostanzialmente i seguenti:

  • chiunque potrà chiedere la cancellazione definitiva dei propri dati dal web, qualora non sussistano motivazioni legittime che ne impongano il mantenimento;
  • saranno richiesti maggiore responsabilità e onere di rendicontazione per chi gestisce i dati personali;
  • sussisterà l'obbligo di maggiore trasparenza e controllo sui dati: in Europa, tutti i gestori di portali web avranno il dovere di informare l'utente circa la tipologia dei dati posseduti, il fine per il quale verranno utilizzati, il periodo di stoccaggio e l'eventuale trasferimento presso terzi;
  • il consenso al trattamento dei dati personali dovrà essere sempre chiesto esplicitamente e mai presunto;
  • esisterà un'unica autorità internazionale per la protezione dei dati nell'Unione Europea, ma resteranno attivi anche gli organi di controllo e di protezione indipendenti; 
  • le norme per la tutela dei dati saranno contenute all'interno di un documento unico per tutti i paesi europei;
  • saranno semplificate le procedure di trasferimento dei dati da un fornitore all'altro, nonché i meccanismi di accesso ai propri dati;
  • il livello di protezione delle informazioni personali aumenterà e sarà più semplice tutelare la propria privacy grazie alla possibilità di cancellarle in ogni momento, qualora non sussistano motivi legittimi per mantenerle;
  • i social network avranno l'obbligo di dimostrare la necessità di conservare una serie di informazioni, nonché di avvisare tempestivamente l'utente in caso di furto dei dati personali (previsti fino a 500.000€ di multa in caso di trasgressione).

Suddetta direttiva è stata ampiamente criticata perché priverebbe il mondo del web della sua raison d'être, quella cioè di poter disporre di un serbatoio inesauribile di informazioni, in cui nulla viene realmente dimenticato e qualunque evento lascia traccia di sè.
Alcuni ritengono che questa legge sia addirittura pericolosa, giacché potrebbe pregiudicare il lavoro giornalistico, influenzando la diffusione di fatti di pubblico interesse. Al contrario, il commissario della Giustizia dell'Unione Europea Viviane Reding definisce la sentenza della Corte come una “vittoria per la protezione dei dati personali”. 

In risposta alla sentenza della Corte Europea, Google ha messo a disposizione degli utenti uno strumento per la rimozione, dai suoi risultati, dei link considerati irrilevanti o lesivi, dal momento che è proprio il motore di ricerca il principale responsabile del trattamento dei dati personali che vengono pubblicati sulla rete. 
Così ha avuto inizio una pioggia incessante di richieste di rimozione dei link da parte di tutte quelle persone che ritengono di essere state lese nei propri diritti. Ma qual è stato l'episodio scatenante di questa corsa all'oblio?

Il precedente

Torniamo indietro di qualche anno, esattamente al 2010, quando lo spagnolo Mario Costeja Gonzalez intentò una causa contro un giornale del suo paese, La Vanguardia, contenente un articolo risalente al 1998 che verteva sulla vendita all'asta degli immobili del signor Gonzalez per esigenze personali. Lo stesso signor Gonzalez si era rivolto all'equivalente spagnolo del nostro Garante per la Privacy, chiedendo che i link verso quell'articolo, che comparivano digitando il suo nome sul motore di ricerca, venissero definitivamente rimossi, poiché contenevano informazioni non più rilevanti circa i suoi passati problemi economici.
In relazione alla richiesta del signor Gonzalez, la corte si dichiarò favorevole alla de-indicizzazione di quei link, definendo le informazioni in questione imprecise e non più rilevanti, quindi idonee alla rimozione. 

In seguito a questo caso specifico, si cominciò a parlare di diritto all'oblio, ovvero della possibilità di seppellire eventi ed errori del passato e di reinventare la propria vita, liberi dai fantasmi che incombono attraverso il web. Google ricevette, nei giorni successivi alla vittoria della causa del signor Gonzalez, più di quarantamila richieste di de-indicizzazione dei link, per la lavorazione delle quali dovette considerare due aspetti: il diritto all'oblio del singolo individuo e il diritto della collettività ad accedere liberamente a qualunque informazione

Per riuscire a trovare il giusto equilibrio tra i due diritti in conflitto, Google ha convocato, nel 2014, un comitato consultivo che si è occupato di prendere in esame le opinioni degli esperti a livello europeo. Nel mese di gennaio 2015, il comitato ha reso pubbliche le conclusioni: il diritto all'oblio è applicabile, al momento, solamente nell'Unione Europea, sulla base delle leggi attualmente vigenti. 
Dunque, ogni cittadino membro dell'UE ha il diritto di richiedere l'eliminazione dell'indicizzazione dei link ritenuti inappropriati. Questo non significa che i link pregiudizievoli verranno eliminati da internet, bensì saranno de-indicizzati, cioè rimossi dai risultati delle query che compaiono sul motore di ricerca. La rimozione delle informazioni dal web è invece a discrezione del web master del sito publisher che, su richiesta, può scegliere di eliminare o meno i contenuti oggetto di contesa in modo definitivo.

La necessità di equilibrio

A questo punto, è naturale porsi la seguente domanda: è giusto limitare il diritto alla libertà di informazione quando i dati “demonizzati” sono stati pubblicati nella piena legittimità, senza violare alcun tipo di norma? E quanto è elevato il rischio di trasformare il diritto all'oblio in un escamotage per una sorta di assoluzione dai peccati trascorsi, consentendo all'interessato di ripulire la propria immagine e cancellare le tracce dei reati o degli avvenimenti che lo hanno visto protagonista in passato? 

Per cercare di trovare il giusto equilibrio tra i due diritti, tra loro in netta contrapposizione, la Corte di Giustizia ha decretato che sarà possibile rimuovere solamente i link associati al nominativo dell'utente, oscurando solo i risultati prodotti dalle ricerche legate al nome della persona che si avvale del diritto all'oblio. In questo modo, se individuata attraverso altre chiavi di ricerca, la notizia rimarrà liberamente consultabile.

Ciononostante, non è detto che a tutte le richieste corrisponda un esito positivo. Alcuni richiedenti si sono visti rifiutare la propria istanza di de-indicizzazione, perché si trattava di fatti non conclusi oppure molto recenti e, quindi, considerati ancora di interesse pubblico. 
Big G e il Garante della Privacy sembrano essere d'accordo circa la non sussistenza dei presupposti relativi al diritto all'oblio in funzione di vicende processuali non del tutto concluse, che devono ancora attraversare i diversi gradi di giudizio previsti.

Intanto, l'America incalza Google per ottenere gli stessi diritti alla de-indicizzazione degli utenti europei, per una questione di equità. In effetti, limitare il beneficio del diritto all'oblio ai soli cittadini europei, perché la maggior parte degli accessi a Google avviene da domini nazionali, non è egualitario, bensì apertamente discriminatorio. 
Naturalmente, rimane auspicabile che i motori di ricerca scelgano di venire incontro alle esigenze dei loro utenti, adottando un atteggiamento costruttivo, in grado di portare all'elaborazione di strategie e soluzioni soddisfacenti, nel pieno rispetto di tutti i diritti fondamentali.